Faq

Vademecum: il diritto di sapere

Il vademecum è una piccola guida tratta dal Codice Civile Italiano messa a disposizione dei condòmini,
utile per conoscere e comprendere gli aspetti principali che regolano la vita di un condominio.
Buona lettura!

Studio Schinocca

Dal 1997
al fianco dei clienti

Hai Bisogno di una Consulenza?

Mettiti in contatto con i nostri professionisti

Regolamento Condominiale

Informazioni Utili

ASSEMBLEA CONDOMINIALE

L’assemblea condominiale è l’organo principale del condominio nonché il suo organo deliberante. L’assemblea si considera validamente e regolarmente costituita solo in seguito all’approvazione/formazione delle tabelle millesimali. L’assemblea è l’organo di rappresentanza del condominio, composta da tutti i condomini titolari di un diritto di proprietà delle unità immobiliari costituenti l’edificio.

In base all’articolo 1135 del codice civile, i compiti e le attività dell’assemblea sono:
• nomina, conferma, sostituzione o revoca dell’amministratore e determinazione della
eventuale sua retribuzione;
• approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l’anno e alla relativa
ripartizione tra i condomini;
• approvazione del rendiconto annuale dell’amministratore e dell’impiego del residuo
attivo della gestione;
• provvedere alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, costituendo
obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori; se i
lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento
graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere
costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti.

L’assemblea può essere convocata in via ordinaria o in via straordinaria. L’assemblea si definisce ordinaria quando è la prima assemblea che viene convocata nel periodo di gestione annuale e può trattare qualsiasi argomento sia di ordinaria che straordinaria amministrazione. L’assemblea è convocata in via ordinaria almeno una volta l’anno per discutere e deliberare sulle materie indicate dall’1135 c.c., questa può essere richiesta in qualsiasi momento dall’amministratore o da un condomino. Diversamente l’assemblea straordinaria può essere convocata dietro richiesta dell’amministratore o di almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell’edificio.

L’avviso di convocazione dell’assemblea deve essere comunicato ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione e l’assemblea non può deliberare se non verifica che tutti i condomini siano stati invitati alla riunione. Le più recenti prese di posizione della Suprema Corte di Cassazione giungono ad affermare che la mancata comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale ad un condomino, comporta non la nullità, ma l’annullabilità della delibera che, ove non impugnata nel termine di trenta giorni (dalla comunicazione per i condomini assenti ed alla approvazione per quegli dissenzienti), è valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio. La legge non prescrive alcuna formalità per la convocazione dei condomini all’assemblea essendo sufficiente che l’invito, indipendentemente dalla sua effettiva conoscenza, sia stato regolarmente fatto ad ogni condomino. Affinché la delibera di un organo collegiale sia valida è necessario che l’avviso di convocazione elenchi specificatamente gli argomenti da trattare.

L’avviso di convocazione deve contenere l’informazione degli argomenti che verranno discussi nell’assemblea. Non è richiesta una rigida formalità, non occorrendo che essi siano esposti in modo analitico, essendo insufficiente una pura ampia coincidenza tra gli argomenti proposti e quelli successivamente trattati nell’assemblea. È però comunque necessario che i condomini debbano essere preventivamente informati della materia in discussione nella seduta condominiale convocata dall’amministratore; per esempio è da ritenersi insufficiente la circoscritta indicazione nell’ordine del giorno “lavori urgenti ed indispensabili” per deliberare legittimamente sui lavori di tinteggiatura generale del fabbricato e di rifacimento di intonaci.

Ogni condomino assente o dissenziente può presentare ricorso all’autorità giudiziaria contro tutte quelle delibere contrarie alla legge, al regolamento o comunque lesive del diritto anche di un solo condomino. Il ricorso deve essere proposto dai presenti, dissenzienti, entro 30 giorni dalla data della delibera, e dagli assenti, entro 30 giorni dal ricevimento della copia del verbale. Il ricorso deve essere presentato al tribunale competente, nei termini e modi prescritti dallo stesso.

Per le case bifamiliari l’art. 1136 del Codice Civile risulta inapplicabile. Nel cosiddetto piccolo condominio – al quale si applicano, per l’amministrazione, le norme degli art. 1104, 1105 e 1106 c.c., piuttosto che quelle dell’art. 1136 c.c. – pur non essendo prescritte formalità particolari per la convocazione dell’assemblea, è sempre necessario che: • una delibera sia adottata a seguito di regolare convocazione dell’assemblea; • la delibera riceva il voto favorevole della maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il valore delle quote ex art. 1105 c.c. (Tribunale Brescia, 11 gennaio 2001).

Per le case bifamiliari, non sono prescritte particolari formalità per convocare l’assemblea. è però necessario che tutti i proprietari siamo stati posti in grado di conoscere l’argomento della deliberazione, per cui la preventiva convocazione costituisce un requisito essenziale per la validità dell’assemblea. Non vale un semplice avvertimento o la necessità di fare dei lavori (Cass. 25.06.91 n. 7126). L’art.1136, relativo alla costituzione dell’assemblea ed alla validità delle relative delibere, non è evidentemente applicabile all’ipotesi del condominio costituito da due soli partecipanti. Infatti non è possibile, essendo solo due i condomini, la formazione di una maggioranza con riferimento al numero dei condomini ed è di conseguenza esclusa la possibilità per l’assemblea di costituirsi e deliberare con i criteri previsti dall’art. 1136. La dottrina più rilevante sostiene, poi, che in realtà l’art. 1136 sia perfettamente applicabile, anche nel caso di condomini con due soli partecipanti, con la sola limitazione dell’impossibilità di deliberazioni prese a “maggioranza” e con la necessità in questo caso (quando la maggioranza non si forma e la sua formazione è indispensabile per i provvedimenti riguardanti la cosa comune) del ricorso ad una delle disposizioni che regolano la comunione in generale (in forza del richiamo di cui all’art. 1139 non essendo il caso previsto dalle disposizioni particolari che regolano il condominio degli edifici). Però le disposizioni in materia di comunione si applicano solo nei casi di decisione a maggioranza. L’art. 1136 richiede per la regolare costituzione dell’assemblea e la validità delle delibere, maggioranze qualificate, determinate con riferimento al numero di partecipanti al condominio ed in rapporto al valore dell’edificio condominiale. Considera valide, vincolative, cioè, per tutti i partecipanti al condominio le delibere che ottengono in prima convocazione, un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti in assemblea e la metà del valore dell’edificio, ed in seconda convocazione, un numero di voti pari ad almeno un terzo dei condomini, ed almeno un terzo del valore dell’edificio. Se poi l’oggetto della delibera riguarda innovazioni delle cose comuni, la validità delle delibere è condizionata dal numero di voti corrispondenti alla maggioranza dei partecipanti e ai due terzi del valore dell’edificio.

Nel caso ci sia contrasto tra i due partecipanti e non si possa arrivare ad un accordo è possibile fare il ricorso all’autorità giudiziaria per superare le conflittualità. “Se non si prendono i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore”.

Nell’ipotesi di condominio composto di due solo partecipanti (cosiddetto piccolo condominio) le spese necessarie alla conservazione o alla riparazione della cosa comune devono essere oggetto di regolare delibera, adottata previa rituale convocazione dell’assemblea dei condomini, della quale non costituisce valido equipollente il mero avvertimento o la mera comunicazione all’altro condomino della necessità di provvedere a determinati lavori. Il principio anzidetto può essere derogato solo se vi sono ragioni di particolare urgenza ovvero trascuratezza da parte degli altri comproprietari (Cass. 8876/2000).

 

L’Amministratore del Condominio è un organo creato dall’Assemblea Condominiale al quale viene conferito il mandato di curare il corretto andamento della gestione comune. La nomina dell’Amministratore è, dunque, prerogativa dell’Assemblea del Condominio, ma, quando per ragioni particolari, tale nomina non può avvenire, provvede l’autorità giudiziaria ad istanza anche di un solo condomino. La figura dell’Amministratore è imposta dalla legge quando in un edificio ci siano quattro o più proprietari, cioè condomini (art. 1129 CC). I compiti specifici dell’Amministratore si concretizzano innanzitutto nella gestione da bonus pater familias dei beni condominiali. Egli dura in carica un anno, al termine del quale deve rendere il conto della propria gestione (art. 1130 CC).

 

Ai sensi dell’articolo 1130 c.c. l’amministratore deve:
• eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei i condomini e curare l’osservanza del
regolamento di condominio;
• disciplinare l’uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell’interesse
comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini;
• riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria
delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni;
• compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio.
Egli, alla fine di ciascun anno, deve rendere il conto della sua gestione.

 

L’obbligo dell’Amministratore di eseguire le delibere assembleari si limita a quanto attiene alle parti comuni; eventuali delibere per le quali la posizione di singoli condomini si configura come quella di proprietari esclusivi esulano dai suoi compiti. È inoltre importante sottolineare che, essendo la deliberazione dell’assemblea immediatamente esecutiva, l’Amministratore non è obbligato ad aspettare il decorso dei termini per l’impugnazione (30 giorni).

 

I singoli condomini possono ricorrere all’assemblea condominiale contro i provvedimenti presi dall’Amministratore nell’ambito dei suoi poteri, a norma del art. 1133 c.c. Ovviamente per analogia, anche l’Amministratore può rivolgersi all’assemblea condominiale per provocare una deliberazione che sancisca la disciplina da lui adottata per l’uso delle cose comuni, al fine di vincere l’asserita resistenza di uno dei condomini.

 

L’amministratore è tenuto a disciplinare l’uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell’interesse comune, in modo che sia assicurato a tutti i condomini il miglior godimento. Pertanto egli non ha il potere, per esempio, di portare di propria iniziativa modifiche strutturali all’edificio condominiale, ma ha il diritto, in mancanza di diverse disposizioni dell’assemblea, di detenere le chiavi dei locali comuni, per assicurarne l’uso da parte dei singoli condomini in condizioni di parità.

 

È obbligatoria la nomina dell’amministratore nei condomini con più di quattro partecipanti. Nessun accordo tra tutti i condomini, né alcun regolamento può escludere tale nomina, pena la loro nullità. Ex art. 1136 c.c. quarto comma, è necessario (in prima ed in seconda convocazione) un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti in assemblea ed almeno la metà del valore dell’edificio. La giurisprudenza consolidata ritiene applicabile tale norma non solo nel caso di prima nomina, ma anche in quello di conferma dell’amministratore. Questo principio, è stato formulato con una sentenza della cassazione n. 3952/94 e ha provocato un certo dibattito tra gli operatori del settore.

 

Per la riscossione dei contributi, che deve essere fatta in base al preventivo ed allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’amministratore può ottenere decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, nonostante l’opposizione e senza necessità di una preventiva autorizzazione dell’assemblea. In caso di mora nel pagamento dei contributi, che si sia protratta per un semestre, l’amministratore, se il regolamento di condominio ne contiene l’autorizzazione, può sospendere al condomino moroso l’utilizzazione dei servizi comuni che sono suscettibili di godimento separato (art. 63 att. c.c.). Il potere dell’amministratore di ottenere decreto ingiuntivo si riferisce non soltanto ai contributi per spese ordinarie, ma anche a quelli relativi a spese straordinarie. Unica limitazione imposta è che lo stato di ripartizione dei contributi di spesa dovuti dai singoli partecipanti al condominio sia stata già approvata dall’assemblea.

 

L’approvazione, da parte dell’assemblea, dell’operato dell’amministratore, anche in assenza di tutti gli elementi di carattere formale che integrano il procedimento di rendiconto, non può precludere l’azione del singolo condomino volta a controllare la gestione dell’amministratore e la documentazione ad essa inerente. Sui limiti di tale controllo è intervenuta la Suprema Corte puntualizzando che ciascun comproprietario ha la facoltà di richiedere e di ottenere dall’amministratore del condominio l’esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo (e non soltanto in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea) e senza l’onere di specificare le ragioni della richiesta (finalizzata a prendere visione o estrarre coppia dai documenti), purché l’esercizio di tale facoltà non risulti di ostacolo all’attività di amministrazione, non sia contraria ai principi di correttezza e non si risolva in un onere economico per il condominio (dovendo i costi relativi alle operazioni compiute gravare esclusivamente sui condomini richiedenti).

 

L’amministratore alla fine di ciascun anno deve rendere il conto della sua gestione da sottoporre all’approvazione dell’assemblea condominiale. Tale compito può essere assolto senza speciali forme; in particolare è stato rilevato che può essere sufficiente – quanto meno nel caso in cui il conto si riferisce a condomini di modeste proporzioni – che esso, anche se non redatto in rigorosa forma contabile, contenga gli elementi essenziali occorrenti per rendere intelligibile, ai singoli condomini, le modalità di impiego dei fondi anticipati dai medesimi per la gestione del condominio, con enunciazione delle spese, suddivise per categorie e ripartite tra i condomini in proporzione delle rispettive quote. La deliberazione dell’assemblea che approva il rendiconto annuale dell’amministratore può essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine stabilito dall’articolo 1137 c.c., terzo comma, non per ragioni di merito, ma solo per ragioni di mera legittimità, restando esclusa una diversa forma di invalidazione ex art. 1418 c.c., non essendo consentito al singolo condomino rimettere in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza se non nella forma della impugnazione della delibera.

 

L’art. 1709 c.c. dispone che il mandato si presume oneroso. In genere la gratuità o meno delle prestazioni dell’amministratore è stabilita dal regolamento. La funzione di amministratore di condominio è assimilabile alla gestione di un mandato con rappresentanza con la conseguente applicabilità, nei rapporti tra l’amministratore e i singoli condomini, dell’art. 1720 c.c. secondo cui il mandante deve, fra l’altro, pagare al mandatario il compenso che gli spetta. Dalla presunzione di onerosità della prestazione deriva che la voce “rimborso forfettario per spese di amministrazione” (presente nei bilanci dei condomini amministrati) include anche il compenso per l’attività esercitata. Si segnala una interessante pronuncia del giudice di pace di Caserta del 2000, per cui l’adempimento dell’amministratore condominiale alla richiesta avanzatagli da un condomino di ricevere copia integrale di una cospicua serie di documenti comporta lo svolgimento di un’attività extra mandato per la quale lo stesso ha diritto ad un compenso aggiuntivo e diverso da quello annuale.

 

L’amministrazione dura in carica un anno. È nulla la delibera dell’assemblea che abbia disposto una durata maggiore.

 

L’amministratore può essere revocato in ogni tempo dall’assemblea (art. 1129 c.c. comma secondo); può essere altresì revocato dall’autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun condomino, in tre casi: qualora sia convenuto in giudizio con una citazione o altro provvedimento che esorbiti dalle sue attribuzioni ed egli non provveda senza indugio a darne notizia all’assemblea. In questo caso egli è tenuto anche al risarcimento dei danni; se per due anni non ha reso il conto della sua gestione; se vi sono fondati sospetti di gravi irregolarità. Nei casi indicati dal terzo comma dell’art.1129 e dall’ultimo comma dell’art.1131, contro il provvedimento del Tribunale può essere proposto reclamo alla corte d’appello nel termine di dieci giorni dalla notificazione. Come per la nomina anche la cessazione per qualsiasi causa dell’amministratore dall’ufficio deve essere annotata in apposito registro.

 

In virtù di quanto dispone il quarto comma dell’articolo 1105 codice civile, se non si prendono i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria. Sulla richiesta provvede il Tribunale in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore. L’amministratore della cosa comune nominato dall’autorità giudiziaria, al pari dell’amministratore nominato dall’assemblea dei comproprietari, ha il mero compito di amministrare, non già quello di deliberare o di risolvere conflitti di diritti soggettivi tra i vari cointeressati. Se l’assemblea non provvede, la nomina è fatta dall’autorità giudiziaria, su ricorso di uno o più condomini (articolo 1129 c.c.); la ratio di questa norma è quella di non lasciare il condominio senza amministratore. Ovviamente, una volta avvenuta la nomina da parte del Tribunale, l’amministratore avrà tutti i poteri ed i doveri di un amministratore nominato dall’assemblea.

 

Le deliberazioni dell’assemblea condominiale, se approvate con le maggioranze previste dalla legge, sono obbligatorie per tutti i condomini (inclusi gli assenti ed i dissenzienti). È fondamentale fare distinzione tra delibere valide, annullabili e nulle. Le prime sono vincolanti per tutti i condomini. Le delibere annullabili diventano valide se non vengono impugnate entro 30 gg. Infine relativamente alle delibere nulle, la nullità può essere fatta valere in qualunque momento. Delibere annullabili con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea; adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale; affette da vizi formali, in quanto assunte in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea; genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione; che violano norme che richiedono qualificate maggioranze in relazione all’oggetto. Termine per l’impugnazione per i dissenzienti: il termine è 30 gg dalla data della delibera. Dopo 30 gg la delibera non è più impugnabile e diventa valida per tutti. La decorrenza è sospesa nel periodo 1 agosto – 15 settembre. Per gli assenti: il termine, sempre di 30 gg, decorre dalla data di comunicazione del verbale dell’assemblea. Una delibera di assemblea condominiale, anche se adottata nell’interesse comune o per adempiere ad un obbligo di legge, è nulla se, per perseguire l’interesse dell’intero condominio, prevede la violazione dei diritti di proprietà esclusiva di un condomino. L’impugnazione della delibera in questo caso non è soggetta ai termini di decadenza (ex art. 1137 c.c.). È inoltre irrilevante che all’adozione della delibera stessa abbia partecipato anche il condomino leso senza sollevare alcuna obiezione in merito (Cass. 9981/2004). Delibere nulle prive degli elementi essenziali; con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume); con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea; che incidono sui diritti individuali, sulle cose o sui servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini; invalide in relazione all’oggetto. La deliberazione dell’assemblea condominiale è nulla se non si raggiungono i “quorum” costitutivi previsti dall’art. 1136 c.c., che richiede i due terzi del valore dell’intero edificio e i due terzi dei partecipanti al condominio in prima convocazione, e un terzo del valore dell’intero edificio e un terzo dei partecipanti in seconda convocazione (Tribunale Cagliari, 1 marzo 1996). È nulla la delibera assembleare che modifica le tabelle millesimali a maggioranza con dissenso di alcuni condomini (Tribunale Cagliari, 7 marzo 1997). Termine per far dichiarare la nullità: l’azione per far dichiarare nulla una delibera può essere proposta in qualsiasi momento. Non è prevista la prescrizione. Contrariamente alle delibere annullabili, qualunque condomino può impugnare una delibera nulla, anche chi ha votato a favore. Conflitto d’interesse: un condominio durante l’assemblea può essere in conflitto d’interesse con l’oggetto della delibera in votazione. Le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell’intero edificio, sia ai fini del conteggio del quorum costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (non debbono) astenersi dall’esercitare il diritto di voto. Per maggiori informazioni o per avere un preventivo contatta l’amministrazione.

 

L’ascensore condominiale è espressamente previsto tra le parti comuni dell’edificio ex art. 1117 c.c. n. 3, costituendone parte integrante e non semplice pertinenza. Esso, infatti, partecipa alla funzione complessiva ed unitaria degli edifici medesimi quale elemento essenziale alla loro destinazione. C’è da precisare che l’ascensore è di proprietà comune solo quando è installato originariamente dell’edificio all’atto della sua costituzione. Al contrario, qualora venga installato successivamente per iniziativa di tutti o parte dei condomini, non costituisce proprietà comune di tutti, in quanto appartiene in proprietà a quei condomini che lo hanno impiantato a loro spese, salvo la facoltà di partecipare successivamente. Limitazioni all’uso dell’ascensore. Anche nel condominio degli edifici trova applicazione, relativamente ai beni comuni, il principio, desumibile dall’art. 1102 c.c. che consente al singolo condomino di usare la cosa comune anche per un suo fine particolare, con conseguente possibilità di ritrarre dal bene una specifica utilità aggiuntiva rispetto a quelle generali ridondante a favore degli altri condomini, con il solo limite che non ne derivi una lesione del pari diritto spettante a questi ultimi. Da tanto consegue che in difetto di specifiche limitazioni stabilite dal regolamento di condominio, l’uso dell’ascensore per il trasporto di materiale edilizio può essere legittimamente inibito al singolo condomino solo qualora venga concretamente e specificatamente accertato che esso risulti dannoso, sia compromettendo la buona conservazione delle strutture portanti e del relativo abitacolo, sia ostacolando la tempestiva e conveniente utilizzazione del servizio da parte degli altri condomini in relazione alle frequenze giornaliere, alla durata e all’eventuale orario di esercizio del suddetto uso particolare, alle cautele adoperate per la custodia delle cose trasportate, tenendo conto di ogni altra circostanza rilevante per accertare le eventuali conseguenze pregiudizievoli che, in ciascun caso concreto, possono derivare dal suddetto uso particolare dell’ascensore. Ripartizione delle spese dell’ascensore. Per ciò che concerne le spese di installazione, la Suprema Corte ha specificato che debbono essere ripartite secondo il criterio dell’art. 1123 c.c. relativo alle innovazioni deliberate dalla maggioranza e cioè in proporzione del valore della proprietà di ciascun condomino; sul presupposto, invece della unicità della funzione, ha stabilito che, per quanto riguarda la manutenzione e la costruzione dell’ascensore, deve essere applicata analogicamente la norma prevista dal codice per le scale (art. 1124 c.c.) e quindi le spese vanno ripartite per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano e per la restante metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo. È da tenere però presente che in tema di condominio degli edifici, la disciplina di cui agli artt. 1123 e 1125 c.c. sul riparto delle spese inerenti ai beni comuni, è suscettibile di deroga con patto negoziale, e, quindi, anche con il regolamento condominiale, ove abbia natura convenzionale, e sia di conseguenza vincolante nei confronti di tutti i partecipanti.

 

Spesso accade di confondere il lastrico solare con la terrazza a livello; anche se gran parte della disciplina è comune, notevoli permangono le differenze, in special modo per ciò che attiene l’assetto proprietario. Infatti, mentre il lastrico solare assolve essenzialmente la funzione di copertura dell’edificio, di cui forma parte integrante sia sotto il profilo giuridico, la terrazza a livello è invece costituita da una superficie scoperta posta al sommo di alcuni vani e nel contempo sullo stesso piano di altri, dei quali forma parte integrante strutturalmente e funzionalmente, nel senso che per il modo in cui è realizzata, risulta destinata non tanto a coprire le verticali di edifici sottostanti, quanto è soprattutto a dare un affaccio e ulteriori comodità all’appartamento cui è collegata e del quale costituisce una proiezione verso l’esterno. Funzioni. Il lastrico solare quale superficie terminale dell’edificio esercita l’indefettibile funzione primaria di protezione dell’edificio medesimo, pur potendo essere utilizzato in altri usi accessori, come quello del terrazzo. L’anzidetta funzione accessoria del lastrico solare a terrazza in uso esclusivo di un solo condomino, come non fa venir meno la sua destinazione primaria all’uso comune, così in mancanza di un titolo contrario lascia inalterata la presunzione di proprietà comune di cui al art. 1117 c.c. Difetto di manutenzione. I singoli proprietari delle varie unità immobiliari comprese in un edificio condominiale sono a norma dell’articolo 1117 c.c. comproprietari delle parti comuni, tra le quali il lastrico solare, assumendone la custodia con il correlativo obbligo di manutenzione, con la conseguenza, nel caso di danni a terzi per difetto di manutenzione del detto lastrico, della responsabilità solidale di tutti i condomini, a norma degli artt. 2051 e 2055 c.c. ove non trovino, come unica causa di tali danni, il caso fortuito, e ciò a prescindere dalla conoscenza o meno dei danni stessi. Ciò non esclude l’eventuale concorso di responsabilità, da accertare in via di rivalsa ove non sia stata dedotta nello stesso giudizio, del costruttore o dell’amministratore del condominio in proprio per i vizi di costruzione o per negligente omissione delle necessarie riparazioni. Infiltrazioni d’acqua. Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno recentemente chiarito che poiché il lastrico solare dell’edificio (soggetto al regime del condominio) svolge la funzione di copertura del fabbricato anche se appartiene in proprietà superficiaria o se è attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini, all’obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati all’appartamento sottostante per le infiltrazioni d’acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di manutenzione, rispondono tutti gli obbligati inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni stabilite dal citato art. 1126, vale a dire, i condomini ai quali il lastrico serve da copertura, in proporzione dei due terzi, ed il titolare della proprietà superficiaria o dell’uso esclusivo, in ragione delle altre utilità, nella misura del terzo residuo. Le spese del lastrico solare. Le spese del lastrico solare Ex art. 1126 c.c., la spesa per la riparazione o ricostruzione del lastrico o della terrazza a livello va sopportata per un terzo da coloro che ne hanno l’uso esclusivo e per due terzi da tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico o la terrazza serve in proporzione del valore del piano di ciascuno. Pertanto, non solo bisogna separare i condomini che hanno l’uso esclusivo del lastrico e della terrazza, per porre a loro carico un terzo dell’onere della ricostruzione o riparazione, ma, nell’ambito dei rimanenti condomini, va fatta un’ulteriore distinzione fra coloro che hanno è coloro che non hanno appartamenti nella zona dell’edificio coperta dal lastrico o dalla terrazza. La terrazza a livello dell’appartamento di proprietà esclusiva di un singolo condomino assolve la stessa funzione di copertura del lastrico solare posto alla sommità dell’edificio nei confronti degli appartamenti sottostanti. Ne consegue che alle spese per la relativa riparazione o ricostruzione devono contribuire, oltre al proprietario della terrazza, tutti i condomini dei piani sottostanti. E, in correlazione con tale obbligo, è configurabile il diritto dei condomini di deliberare sui lavori, sia pure solo con riguardo a quelli necessari per la conservazione della funzione di copertura della terrazza, mentre sono a carico esclusivo del proprietario di questa le spese per il rifacimento dei parapetti o di altri simili ripari in quanto esse servono non già alla copertura, ma alla praticabilità della terrazza.

 

L’art. 1 e l’art. 3 della legge 554/40 (disciplina dell’uso degli aerei esterni per audizioni radiofoniche) stabiliscono che i proprietari di uno stabile o di un appartamento non possono opporsi all’installazione nella loro proprietà di aerei esterni, in particolare, destinati al funzionamento di apparecchi radiofonici appartenenti agli abitanti degli stabili e degli appartamenti stessi. Tali norme attribuiscono al titolare dell’utenza il diritto all’installazione dell’antenna sulla terrazza dell’edificio, ferma restando la facoltà del proprietario al libero uso di questa secondo la sua destinazione ancorché comporti la rimozione o il diverso collocamento dell’antenna, che resta a carico del suo utente, all’uopo preavvertito. Ne deriva che il proprietario della terrazza che vi abbia eseguito dei lavori comportanti la rimozione dell’antenna non può essere condannato al ripristino nello stato preesistente, posto che spetta all’utente provvedere a sua cura e spese alla rimozione ed al diverso collocamento dell’antenna. Tale diritto all’installazione di antenne (ed accessori) è limitato soltanto dal pari diritto di altro condomino, o di altro coabitante nello stabile, e dal divieto di menomare (in misura apprezzabile) il diritto di proprietà di colui che deve consentire l’installazione su parte del proprio immobile. Pertanto, qualora sulla terrazza di uno stabile condominiale sia installata (per volontà della maggioranza dei condomini) una antenna televisiva centralizzata e un condomino (o un abitante dello stabile) intende invece installare una antenna autonoma, l’assemblea dei condomini può vietare tale seconda installazione solo se la stessa pregiudichi l’uso del terrazzo da parte degli altri condomini o arrechi comunque un qualsiasi altro pregiudizio apprezzabile e rilevante ad una delle parti comuni. Al di fuori di tali ipotesi, una delibera che vieti installazione deve essere considerata nulla, con la conseguenza che il condomino leso può fare accertare il proprio diritto all’installazione stessa, anche se abbia agito in giudizio oltre i termini previsti dall’art. 1137 c.c. o, essendo stato presente all’assemblea, senza esprimere voto favorevole alla delibera, non abbia manifestato espressamente la propria opposizione alla delibera stessa. L’installazione di una antenna è lecita anche se effettuata sul balcone di un appartamento condominiale non potendo essere qualificati quali innovazioni gli atti di maggior l’utilizzazione della cosa comune che non importino alterazione o modificazione e non precludono agli altri condomini un uguale maggior uso. N.B.: Ad Imperia esiste da tempo un regolamento che vieta l’installazione selvaggia di antenne televisive sui tetti e soprattutto sui terrazzi, ma molti proprietari di alloggi o inquilini sembrano non saperlo ancora. A partire da settembre gli agenti della Polizia Municipale inizieranno ad effettuare controlli a tappeto, e chi non sarà in regola verrà sanzionato. A pagare le conseguenze delle irregolarità non saranno soltanto proprietari e affittuari, ma anche gli installatori che hanno piazzato le antenne senza tener conto del regolamento. In particolare, il regolamento prevede che ogni fabbricato con più di due unità immobiliari sia dotato di impianto centralizzato, mentre quelli più piccoli potranno derogare. In tutti i casi però, le antenne devono essere collocate in modo da non essere visibili dal piano strada (in casi dove fosse tecnicamente impossibile occorrerà concordare una soluzione con il Comune), avere dimensioni le minori possibili ed una colorazione capace di mimetizzarle, oltre ad essere adeguatamente fissate e controventate. Le strutture di sostegno realizzate con materiali di colore opaco. Anche i cavi dovranno risultare non visibili o adeguatamente mimetizzati. E a partire da settembre, chi non si sarà adeguato incorrerà in una sanzione di 400 euro. Dal 15 febbraio 2010 tutti gli antennisti dovranno essere abilitati ad eseguire lavori in quota, attraverso l’utilizzo della cosiddetta “Linea Vita”. Un tema di grande interesse ed attualità è quello relativo all’installazione non solo di antenne ma anche di stazioni radio base per telefonia cellulare sui tetti degli edifici condominiali, tema connesso a quello inerente alle possibili conseguenze derivate dall’inquinamento elettromagnetico. Infatti, l’inquinamento elettromagnetico è “potenzialmente” una delle forme di danno alla salute ed all’ambiente più pericolose; tanto più pericolosa e subdola proprio perché ancora poco conosciuta e poco studiata. Si è dovuto aspettare fino al 2001 per avere finalmente la legge quadro in materia (legge 22 febbraio 2001, n. 36: legge quadro sulla protezione delle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici) che si occupa del problema in tutta la sua interezza. Nel frattempo, peraltro, la disciplina codicistica condominiale era già rimasta coinvolta più volte dai giudici di merito, con particolare riferimento all’installazione di antenne riceventi per comunicazioni cellulari sul tetto di un edificio – appunto – condominiale. Si segnala che il Tar Lazio in materia di installazione di stazioni radio base per telefonia cellulare, in presenza di documentazione, consistente in una relazione clinica, attestante possibili relazioni tra manifestazioni morbose subite da una persona residente nello stabile e l’attivazione degli impianti, deve cautelarmente essere considerato prevalente l’interesse primario alla salute rispetto ad ogni altro interesse giuridicamente protetto, con conseguente sospensione del provvedimento con il quale vengono dichiarati urgenti lavori e le opere concernenti l’installazione e l’attivazione dell’impianto (fattispecie in cui una stazione radio base per telefonia cellulare era stata installata sul terrazzo di uno stabile condominiale).

 

Per il primo comma della art. 63 att. c.c. per la riscossione dei contributi dei condomini, in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’amministratore di condominio può ottenere decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo. Il decreto ingiuntivo è uno speciale provvedimento di condanna a pagare una somma liquida di denaro, o a dare una quantità determinata di cose fungibili, o una cosa mobile determinata (art. 633 c.p.c.) in relazione ad un credito munito di prova scritta o rientrante in particolari categorie. A tale provvedimento si interviene non attraverso un processo, ma attraverso un procedimento, cioè senza che si istituita il contraddittorio con il debitore. Il giudice, adito dal creditore con ricorso, verifica l’esistenza dei presupposti ora menzionati. Se non riscontra gli estremi, il giudice respinge la domanda; se, invece li riscontra, emette il decreto ingiuntivo a carico del debitore; tale decreto può esaurire l’intervento del giudice, svolgere efficacia e passare in giudicato: ciò si verifica se il destinatario dell’ingiunzione non propone, entro breve termine, opposizione. Il potere dell’amministratore del condominio di ottenere decreto d’ingiunzione immediatamente esecutivo contro i singoli condomini, riconosciutogli dalla art. 63 att. c.c. per la riscossione dei contributi condominiali, si riferisce non soltanto ai contributi per spese ordinarie, ma anche a quelli relativi a spese straordinarie, ciò in quanto la norma non distingue tra gli uni e gli altri, limitandosi a porre come unica condizione che lo stato di ripartizione dei contributi di spesa dovuti dai singoli partecipanti al condominio sia stata già approvata dall’assemblea. Per la Cassazione l’amministratore può chiedere l’emissione del decreto ingiuntivo per i contributi dovuti dai condoni non solo in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, ma anche in base a prospetti mensili delle spese condominiali non contestati, ma in questo secondo caso non può ottenere la clausola di immediata esecuzione nonostante opposizione. Costituisce prova scritta idonea ad ottenere decreto ingiuntivo per il pagamento delle spese condominiali, il verbale dell’assemblea che approva il rendiconto, perché la relativa delibera vincola anche gli assenti ed i dissenzienti finché non dichiarata nulla o annullata dal giudice dell’impugnazione, se non decaduti. Nel caso in cui il debitore faccia opposizione a decreto ingiuntivo, si apre un autonomo giudizio di cognizione che si svolge secondo le norme del procedimento ordinario con la conseguenza che il giudice è investito del potere-dovere di stabilire nel merito della pretesa fatta valere dal condomino.

 

L’articolo 1117 c.c. indica le cose che sono oggetto di proprietà comune. Tale elenco non ha carattere tassativo (pone una presunzione di comproprietà, si riferisce cioè a beni presunti necessari per l’esistenza stessa del condominio): il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti, i lastrici solari, le scale, i portoni d’ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e in genere tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune; i locali per la portineria e per l’alloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per altri simili servizi in comune; le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all’uso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti e inoltre le fognature e i canali di scarico, gli impianti per l’acqua, per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento e simili fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini. Il condominio non è un soggetto giuridico dotato di una propria personalità, distinta da quella di coloro che ne fanno parte, ma è un ente di gestione che opera in rappresentanza e nell’interesse comune dei partecipanti, limitatamente all’amministrazione e al buon uso della cosa comune, senza interferire nei diritti autonomi di ciascun condomino. Giova evidenziare infatti, che la comproprietà delle parti comuni sorge nel momento in cui più soggetti diventano proprietari esclusivi delle singole unità immobiliari che costituiscono l’edificio. Tale presunzione di comproprietà ex art. 1117 c.c. tra tutti i condomini viene riferita a quelle parti che se non disciplinate diversamente nel regolamento di condominio o nel rogito rientrano tra le cose di uso comune. Di fatto il regolamento rappresenta la normativa interna del condominio, quale legge speciale rispetto alla disciplina del codice civile.

 

Se il condominio di edificio è costituito da due soli partecipanti si dice che è un “piccolo condominio”. Per il piccolo condominio gli articoli del Codice Civile, a partire dal 1136, sono inapplicabili (relativi alla costituzione dell’assemblea e alla validità delle relative delibere), si applicano però gli articoli della comunione in generale art. 1105 e 1106. Contrasti tra i condomini. Nel caso ci sia contrasto tra i due partecipanti e non si possa arrivare ad un accordo è possibile fare il ricorso all’autorità giudiziaria per superare le conflittualità. “Se non si prendono i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore”. Convocazione assemblea. Anche nel piccolo condominio, come nel condominio in generale, non sono prescritte particolari formalità per convocare l’assemblea, ma è pur sempre necessario che tutti i compartecipanti siamo stati posti in grado di conoscere l’argomento della deliberazione, per cui la preventiva convocazione costituisce un requisito essenziale per la validità dell’assemblea. Non vale un semplice avvertimento o la necessità di fare dei lavori (Cass. 25.06.91 n. 7126). Nell’ipotesi di condominio composto di due solo partecipanti (cosiddetto piccolo condominio) le spese necessarie alla conservazione o alla riparazione della cosa comune devono essere oggetto di regolare delibera, adottata previa convocazione dell’assemblea dei condomini, della quale non costituisce valido equipollente il mero avvertimento o la mera comunicazione all’altro condomino della necessità di provvedere a determinati lavori. Il principio anzidetto può essere derogato solo se vi sono ragioni di particolare urgenza ovvero trascuratezza da parte degli altri comproprietari (Cass. 8876/2000). Spese sostenute da un solo proprietario nell’interesse comune. Nel caso di edificio in condominio composto da due soli condomini (il cosiddetto “condominio minimo”), il rimborso delle spese per la conservazione delle parti comuni anticipate da uno dei condomini è regolato dall’art. 1134 c.c., da cui il diritto al rimborso è riconosciuto soltanto per le spese urgenti, e cioè quelle che devono essere eseguite senza ritardo e la cui erogazione non può essere differita senza danno; è inapplicabile, invece, nella suddetta ipotesi l’art. 1110 c.c., il quale ha subordinato il diritto al rimborso delle spese anticipate da uno dei comunisti alla mera trascuranza degli altri condomini (Cass. 2046/2006).

 
 
Il regolamento di condominio è molto importante in quanto disciplina la vita condominiale. Nel regolamento di condominio sono inserite le norme che disciplinano i servizi e le parti comuni, l’attività dell’amministratore e dell’assemblea condominiale. Al regolamento di condominio sono allegate le tabelle millesimali per la ripartizione delle spese. In base all’articolo 1138 c.c., vi è l’obbligo di redigere il regolamento di condominio quando vi sono più di dieci condomini. Se l’assemblea non delibera in proposito, ogni condomino può interessarsi della redazione del regolamento condominiale. Se i condomini non sono superiori a dieci, il regolamento di condominio è facoltativo, ma una volta predisposto vengono applicate le stesse regole e norme previste per il regolamento di condominio obbligatorio. Regolamento condominiale e contrattuale. Il codice civile, disciplinando la materia del regolamento condominiale, si riferisce esclusivamente a quello assembleare, ovvero a quel regolamento che deve essere approvato dall’assemblea con la maggioranza di cui all’art. 1136 c.c. II comma (maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio) è trascritto nel registro indicato nell’ultimo comma dell’art. 1129 CC. Accanto a questo tipo di regolamento non contrattuale (essendo frutto di un vero e proprio “atto collegiale”), vi è un altro tipo di regolamento riconosciuto pienamente dalla giurisprudenza: quello contrattuale. Secondo la giurisprudenza, vi possono essere sostanzialmente tre tipi di regolamento contrattuale: quello approvato all’unanimità e sottoscritto da ogni condomino; quello predisposto dall’originario costruttore-venditore ed accettato dai condomini. Questo regolamento deve essere richiamato negli atti d’acquisto dei singoli condomini così da formarne parte integrante e sostanziale oppure viene allegato ai singoli atti di acquisto ed accettato dagli acquirenti mediante atti di adesione; quello predisposto dall’originario unico proprietario dell’edificio ed inserito quale parte integrante nei singoli atti di disposizione. Quest’ultimo deve essere depositato presso un notaio, registrato e quindi inserito nei vari rogiti. La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere che la modificabilità delle clausole contrattuali o regolamentari è particolarmente rilevante sotto il profilo della loro la maggioranza assembleare. Mentre le clausole contrattuali possono essere modificate con il consenso unanime dei condomini, quelle regolamentari possono sempre essere vagliate, al fine di essere adattate alle mutevoli esigenze della collettività condominiale, dall’assemblea con la maggioranza di cui l’articolo 1136 c.c., anche se formalmente inserite in un regolamento contrattuale, in quanto la natura di una clausola dipende dal suo contenuto piuttosto che dalla sua collocazione.

 

 

 

 
 
 
Ad ogni unità immobiliare viene assegnato un valore millesimale che rappresenta la quota di comproprietà delle parti comuni. I valori millesimali sono raccolti in una tabella, detta tabella millesimale. I valori millesimali hanno una duplice valenza: stabilire le maggioranze per la regolare costituzione dell’assemblea condominiale e la validità delle deliberazioni assunte. Ripartire le spese comuni tra i condomini. I millesimali stabiliscono la quantità di godimento sulle parti e servizi del condominio, che ogni condominio ha in funzione della sua proprietà esclusiva. La tabella millesimale dunque, individua il valore di ogni unità immobiliare rispetto al valore dell’intero immobile, ed è proprio in base a tale valore attribuito ad ogni singola unità abitativa che viene stabilita la possibilità di poter decidere sul godimento della cosa comune. La revisione o la modifica delle tabelle millesimali condominiali. È ammessa dall’articolo 69 disp. att. c.p.c.: quando sono conseguenza di errori; quando sono mutate le condizioni di una parte dell’edificio a seguito di sopraelevazioni, di parziale espropriazione o di innovazioni di vasta portata che abbiamo alterato il rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano. Il regolamento comunque non può prevedere l’immutabilità delle tabelle millesimali. Le tabelle non possono essere modificate a maggioranza da una delibera condominiale, ma occorre l’unanimità dei condomini (Cass. 5.7.1973, n.1887). Non è invece richiesta la partecipazione di tutti i condomini, essendo sufficiente anche una semplice delega. Si ritiene tuttavia che una tabella millesimale applicata per molti anni senza che vi siano state opposizioni da parte dei condomini, costituisca un’approvazione “implicita” (Cas.. 19.1.1995, n.602). Le tabelle millesimali allegate a regolamento condominiale contrattuale non possono essere modificate se non con il consenso unanime di tutti i condomini o per atto dell’autorità giudiziaria a norma dell’art. 69 disp. att. c.c. e conservano piena efficacia e validità (quali leggi del condominio) sino a che non intervenga una rituale modifica delle stesse (Cass.5399/1999). Tuttavia, poiché l’adozione di criteri condivisi da tutti i condomini per la ripartizione delle spese è essenziale per la vita e il funzionamento di un condominio, in caso di mancato raggiungimento del consenso unanime, è data la possibilità ai comproprietari, che vi abbiano interesse, di adire l’autorità giudiziaria, applicando l’art. 69 del R.D. 30 marzo 1942, n. 318 (art. 69 disp. att. c.c.). Per il disposto dell’art. 69 delle disposizioni di attuazione del c.c. le tabelle millesimali possono essere rivedute e modificate solo se è notevolmente alterato il rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano (Cass. 1408/1999).

 

 
Le spese di condominio, come stabilito negli artt. 1101 è 1104 cc, nella Comunione, devono essere ripartite unicamente in proporzione alle quote. Per il condominio il sistema dettato dall’articolo 1123 c.c. è più articolato, in quanto, al primo comma viene stabilito un criterio analogo a quello della comunione, mentre nel secondo comma si dà rilievo al reale servizio ed uso, in rapporto alle singole quote. Nell’ambito condominiale la ripartizione delle spese avviene sulla disciplina dettata dagli artt. 1123, 1124, 1125 e 1126 c.c., vengono quindi disciplinate le spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti comuni, nonché per la gestione dei servizi comuni. Ovviamente restano escluse le spese che si riferiscono unicamente alle unità immobiliari di proprietà esclusiva. Soggetti obbligati. Chi partecipa, a qualsiasi titolo, al rapporto condominiale è obbligato al pagamento. Nel caso in cui vi sia una successione a titolo particolare, chi subentra nei diritti del condomino è obbligato, solidalmente con questi, al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso ed a quello precedente. Si sottolinea il fatto che i rapporti tra conduttore e locatore restano un fatto meramente interno, non essendo rilevanti nei confronti del condominio, per il quale, obbligato resta sempre il proprietario. Momento in cui sorge l’obbligazione. L’obbligo sorge nel momento in cui la ripartizione della spesa viene approvata dall’assemblea. Nel caso di successione nel diritto, tale obbligo nasce nel momento in cui si acquista la qualità di condomino. Convenzioni in deroga. L’articolo 1123 può essere derogato da quanto stabilito dall’articolo 1138 e dal primo comma dell’articolo 1123 stesso. Tale deroga si riflette sia sul criterio di proporzione tra quote e spese, e sia sul criterio di ripartizione in rapporto all’uso. La deroga consiste in un atto sottoscritto da tutti i condomini interessati, ed è contenuta in una delibera assembleare approvata da tutti i condomini. Sottolineiamo che è inefficace nei confronti dei dissenzienti a la delibera assembleare che introducendo deroghe ai criteri di ripartizione delle spese non sia stata approvata all’unanimità. Vi è quindi una nullità radicale deducibile senza limitazioni di tempo in quanto la delibera ha inciso sui diritti individuali del singolo condomino. Cose destinate a servire i condomini in misura diversa (artt. 1123 c.c. 2 c.). L’espressione “in misura diversa” non si riferisce alla diversità delle quote di proprietà di ciascun condomino, ma alla possibilità che in base alla struttura del condominio ed alla destinazione di esso, l’uso e il godimento che ciascuno ne ha, siano diversi. In tale caso, il criterio di legge per la ripartizione delle spese è quello di cui al secondo comma dell’articolo 1123. Ciò può determinare non solo la possibilità di una diversa misura di contribuzione, ma anche il totale esonero di uno o più condomini dal contribuire a quelle spese causate da un particolare uso o servizio, quando questi non ne usufruiscano.